Ricchissime testimonianze iconografiche rappresentano il Santo con uno strumento a corda e mai in abiti miserabili, ma piuttosto nelle vesti dignitose di un menestrello di corte. Veniva definito thymelicae artis magister, un attore che suonava e cantava sulla scena. Burlesco e beffardo, era noto in tutta Roma per gli sberleffi che rivolgeva ai cristiani e alle loro cerimonie ormai sempre più diffuse nella capitale dell’Impero.
Al momento della parodia del rito battesimale, l’istrione, con fare sacrilego e con indosso la veste bianca della cerimonia, iniziò a recitare ma la platea s’ammutolì: l’attore recitò il Credo, commosso e altero. Il maestro della farsa rivelò la verità della Grazia di Dio, che si manifestò, irresistibile, proprio su quel palco.
La conversione di Lucio Ginesio venne interpretata come una provocazione imperdonabile e il mimo venne fustigato, torturato e appeso all’eculeo. A causa della sua ostinazione nel sostenere la sua nuova fede, fu messo a morte per decapitazione, come la maggior parte dei primi martiri cristiani, nell’anno 303.
Fu Carlo Magno nel 773 a dare al castello il nome di San Ginesio, in base ad un’immagine trovata nella chiesuola sita in mezzo alla collina, oggi occupata dalla Pieve Collegiata. San Ginesio mimo e martire è stato poi proclamato patrono dei musicisti, degli attori e di quanti lavorano in teatro.